TRATTO DA FAMIGLIA CRISTIANA N.36 DEL 1996

Trentatrè anni di musica, idee, impegno sociale e fedeltà alle radici: storia e passioni di una "rock band" davvero diversa da tutte le altre

NOMADI UN MITO ITALIANO

Centotrenta club di appassionati in ogni regione, 140 concerti l'anno che potrebbero essere molti di più, la morte di Dante Pergreffi e quella di Augusto Daolio. Ma il gruppo resiste e si rinnova. Le campagne per Cuba o contro le mine e il nuovo disco.

di PIERO NEGRI

"Ha dell'incredibile", ripete Beppe Carletti quando parla della storia dei Nomadi. Come dargli torto? In trentatré anni di vita, il gruppo musicale da lui fondato con Augusto Daolio ha affrontato la vita e la morte, il successo e l'oblio, uscendone acciaccato e più forte che mai. Oggi i club di appassionati dei Nomadi sono centotrenta, in tutta Italia. Non solo: ciascuno di loro compie, in totale autonomia, azioni di volontariato, adotta a distanza bambini in difficoltà, acquista materiale didattico per le scuole di Cuba, raccoglie fondi per la lotta alle mine antiuomo o per la ricerca contro i tumori, per la causa del Tibet, per Amnesty International, per ospitare in Italia ragazzi di Cernobyl.
"Quattro anni fa", racconta Carletti, "quando la morte di Augusto ci mise di fronte alla scelta tra andare avanti, cambiando, oppure smettere di esistere come gruppo, ci convinsero anche le lettere e le telefonate di quelli che ci amavano. Ci dicevano: come faremo senza di voi a incontrare i nostri amici di tutta Italia? Non potevamo permettere che la storia finisse così". E' una storia italiana, quella dei Nomadi, una storia di buoni sentimenti, di cadute e risalite testarde.
"Lasciamo perdere Bossi e la Lega: siamo padani, felici di esserlo, nel senso che siamo tosti, duri, solidi. Nel senso che nessuno di noi ha lasciato il paese per la città, anche quando, ci spiegavano che per avere davvero successo avremmo dovuto abitare a Roma o a Milano. Le radici non le abbiamo mai rinnegate: siamo anzi rimasti sempre con i piedi ben piantati nella terra da cui veniamo".
Augusto Daolio riposa da quattro anni nella terra da cui vengono i Nomadi, a Novellara, provincia di Reggio Emilia. Nell'ottobre del 1992 se lo portò via un tumore ai polmoni: al funerale la folla intonò spontaneamente Io vagabondo, la canzone che più di ogni altra l'ha fatto entrare nella storia della musica leggera italiana. "I medici ci avevano consigliato di renderlo felice il più possibile", ricorda Carletti, "e allora noi continuavamo a suonare come se non fosse malato. Fino a quando, nel maggio di quel maledetto 1992, morì in un incidente stradale Dante Pergreffi, il bassista. Quando anche Augusto morì, mi ribellai: la vita non poteva essere così crudele con noi. Da qualche anno avevamo cominciato a riguadagnare popolarità, i concerti erano sempre più affollati. Perché Augusto e Dante se n'erano dovuti andare proprio in quel momento?". Venne fuori, insomma, la capacità di resistere, insieme con un certo genio. Cosciente dell'impossibilità di sostituire Augusto, Carletti scelse due giovani cantanti: Francesco Gualerzi, emiliano, e Danilo Sacco, piemontese. E la storia dei Nomadi ricominciò da sei, il numero di componenti con il quale era partita, tanti anni prima.
Ripresero a nascere i club di appassionati, i dischi ad andare a ruba come non accadeva da decenni.
"Forse", dice Carletti, "le disgrazie di quel 1992 ci hanno portato un po' di simpatia da parte del pubblico; forse, più ancora, stiamo raccogliendo i frutti di tanti anni di dischi e concerti, di una coerenza sempre rigorosa tra la musica e la vita".
Solamente in quella tragica estate del 1992 i Nomadi mancarono a un appuntamento che dal 1975 li vede sempre puntuali protagonisti e che anche quest'anno si è ripetuto. Per la ventiduesima volta. A Castagnole Lanze, paesone di produttori di vino tra Langhe e Monferrato, in provincia di Asti, ogni anno, alla fine di agosto, il gruppo tiene un concerto. O più propriamente, un raduno musicale, un incontro pubblico tra vecchi amici.
Beppe Carletti posa per alcune decine di foto ricordo, i genitori cresciuti con i Nomadi gli presentano i bambini, prima e dopo il concerto gli appassionati attraversano liberamente il retro del palco, accolti, in molti casi, dai saluti calorosi dei musicisti. "Beppe dice sempre che se un disco vende 150 mila copie, lui conosce personalmente almeno 120 mila di coloro che l'hanno acquistato", spiega Maurizio Dinelli, il manager del gruppo. A giudicare da ciò che accade a Castagnole Lanze, non è un'esagerazione.
"Siamo venuti a suonare qui per la prima volta nel 1967", racconta Carletti, "poi dal 1975 a oggi, non siamo mai mancati. Sono molte le località che ci hanno chiesto di istituire una tradizione del genere, ma noi preferiamo accontentare tutti, a rotazione. Facciamo circa centoquaranta concerti all'anno, le richieste sono almeno il doppio. E in molti casi a organizzare sono direttamente i nostri club". Hanno nomi che ricordano Chico Mendez, Silvia Baraldini o Steven Biko. Oltre, naturalmente, Augusto Daolio. Sono nati al Nord e al Sud, a Trofarello (Torino) e a Santa Venerina (Catania). Pochi, pochissimi hanno sede nelle città, quasi tutti vengono dalla provincia.
I club di amanti dei Nomadi assomigliano come gocce d'acqua al gruppo al quale si ispirano. Quando, due anni fa, i Nomadi lanciarono l'idea di una raccolta di materiale per le scuole cubane, i club si misero in azione: pochi mesi dopo partì per l'Avana una nave con 150 mila quaderni e mezzo milione di penne e matite. Anche a Castagnole Lanze non manca il piccolo stand degli amici di Cuba, così come, durante il concerto, l'invito a sostenere la campagna contro le mine antiuomo di fabbricazione italiana.
C'è poca ideologia, però, nel mondo dei Nomadi. C'è ben più forte, la ribellione alle forme più odiose di ingiustizia. "Negli ultimi anni", racconta Carletti, "abbiamo cominciato a viaggiare per il mondo. Siamo stati in India, a Cuba, in Palestina, abbiamo visto luoghi e situazioni dai quali è impossibile non lasciarsi coinvolgere. Torni a casa con la voglia di fare qualcosa, qualunque cosa, per aiutare quella gente".
E' anche per questo, forse, che ai concerti dei Nomadi si vedono tanti ragazzi. Più che al Che Guevara che hanno sulla maglietta, loro credono ai Nomadi, a quella storia che "ha dell'incredibile" e che sconfina in un mito buono, vicino. Per questo molti genitori portano i bambini a cantare Dio è morto e soprattutto le parole che dicono: "Nel mondo che faremo Dio è risorto". Forse per questo, infine, Beppe Carletti riesce a portare in giro per l'Italia un gruppo nel quale una buona metà dei componenti è venuta al mondo dopo il gruppo stesso. "Nei Nomadi", dice, "c'è prima di tutto il rispetto reciproco. Non sono il capo della banda, semmai un fratello maggiore".
Sta per uscire il ventitreesimo disco della storia dei Nomadi: Si intitola Quando ci sarai: "La casa discografica mi ha appena confermato che il disco non subirà alcun aumento di prezzo", dice il manager Dinelli, che lavora con i Nomadi da quattordici anni senza un vero contratto, con il legame più forte: una stretta di mano. Il gruppo va avanti, insomma, forte delle sue radici. "Con Augusto", ricorda Carletti, "dicevamo spesso che sarebbe stato bello che questa esperienza continuasse anche dopo di noi. Ora siamo arrivati al punto in cui un miracolo del genere sarebbe anche possibile: Elisa ha ventitré anni, Francesco e Danilo trenta. Oggi, però, proprio come facevamo trentatré anni fa, non voglio guardare troppo avanti. E' già molto quel ch'è successo: sul serio, la nostra storia ha dell'incredibile".




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