tratto dal corriere della sera

"Le tue note ci guidano nella vita"

Pellegrinaggio di fans per Daolio, leader dei Nomadi morto otto anni fa

DAL NOSTRO INVIATO
NOVELLARA (Reggio Emilia) - "Augusto? Deve andare in fondo al corso, poi a destra. C'è un cartello, non può sbagliare...". Il barista sorride. Anche oggi c'è uno che è venuto a trovare Augusto. Come in tutti i giorni dell'anno. Arrivano alla spicciolata, si affacciano timidi in uno dei bar sotto i portici e chiedono. Un pellegrinaggio che non smette mai, e che nel mese di ottobre si trasforma in una sorta di assedio. Perché Augusto Daolio, cantante e leader dei Nomadi, è morto in un giorno di ottobre del '92, portato via da un cancro ai polmoni. E da allora c'è sempre qualcuno che attraversa la Bassa, percorre le strade lungo il Po dove i vecchi pedalano piano, attraversa paesi quieti tutti uguali e approda finalmente a Novellara. Ogni giorno che Dio manda in terra, con la nebbia e con la calura.
La tomba sta appena dopo l'ingresso, sulla sinistra. Una grande pietra bruna sulla quale hanno scolpito cavalli, pesci, una luna che sorride, un'ascia pellerossa. Attorno, sugli alberi che la circondano, sul prato, quelli che non vogliono dimenticare Augusto posano i loro piccoli doni. E' un inventario che colma di incredula tenerezza: un pettine, una caramella, una foto della mano di padre Pio, una pipa, uno scudetto della Ferrari, un accendino, uno specchio, un piccolo albero di Natale. E poi ancora un cavallino, un pupazzo di Calimero, un ciuccio, un elefantino. Su una panca di legno invece hanno sistemato i peluche, una montagna di peluche ormai intrisi di pioggia e di polvere. E dal nocciolo che fa ombra alla lapide pendono sciarpe colorate, un rosario, amuleti indiani. Le lettere invece stanno dentro una grande brocca di vetro verde.
Franco con Augusto ci andava a scuola assieme. Adesso abita a Reggio Emilia, e viene qui ogni tanto a trovare suo padre. E ogni volta viene a salutare il suo amico. "Poverino, avevamo fatto la fame insieme. Poi quando cominciava a stare bene...", commenta adesso accarezzando con gli occhi quell'incredibile bazar. Franco si ricorda di quando Augusto era bambino, e "al bar del Savini voleva sempre imitare Pat Boone. Ma solo quando non c'era nessuno, perché era timido, proprio timido". Fa caldo, un caldo senza speranza, come solo nella Bassa sa fare. Si sentono i grilli nascosti nel verde, l'aria sa di polvere. Sul prato decine di sassi fanno da corona alla tomba, e ognuno ha qualcosa inciso sopra. "Le tue note ci guidano nella vita", hanno scritto dei ragazzi. Oppure "Arrivederci Augusto, tu vivi in noi. Per sempre Nomadi". Qualcuno ha scelto la strada impervia della poesia: "Ma che film, la vita. Tutta una tirata tra la gioia e il dolore". Oppure un altro: "Non te ne sei andato, hai solo allungato il passo e prima di noi sei arrivato". Altri hanno preferito affidarsi alle canzoni che Augusto cantava con quella sua voce inconfondibile, un po' nasale e pure calda. "Quando piove nella valle e le foglie sono gialle, quando l'acqua si fa neve ed il giorno è più breve...". Vengono da Brescia, Udine, Mantova, Cremona, Milano. Ci sono i "bikers del motoclub Peppone e don Camillo di Brescello", i "fans club Nomadi" di mezza Italia, gli amici che lo conoscevano davvero. "Augusto, salutaci le stelle", ha scritto uno di loro. Ogni tanto le scritte lasciano intravedere altri dolori: "Sergio ti adorava e ti ha raggiunto", ha scritto una donna. Dal cancello ora sbuca un gruppetto di persone. Una donna in nero, due ragazzi e due ragazze. Arrivano da Bari, è la seconda volta che vengono qui. Accompagnano Nicola, è lui il fan di Augusto. Nicola ha 27 anni e poca voglia di parlare con l'intruso. Questo è un suo appuntamento privato. Si stacca dagli altri e posa accanto alla lapide un pezzo di vetro, un frammento di murrina colorata. Ma perché ti piacciono i Nomadi? "Mi piacciono perché sono diversi. Per i testi, per il loro modo di cantare". Dice che a farglieli conoscere è stato il marito di sua sorella, che è "abbastanza grande". Poi se ne va, inghiottito dalla calura.
Il centro di Novellara conserva ancora i vecchi portici quadrati di tutti i paesi di campagna qui intorno, fatti per difendersi dalla nebbia dell'inverno e dal caldo dell'estate. E la strada principale ha ancora il pavimento fatto di grandi sassi, con in mezzo due guide di marmo per le carrozze.
Pietro vende dischi in un negozio sul corso. E' una montagna di ragazzo, due metri con in cima un ciuffo di capelli tinti di biondo, come va adesso. Anche lui ha un piccolo ricordo di Augusto da regalare. "Un giorno mi fermò in piazza, era in bicicletta. Io ero piccolo, ma ci conoscevamo. Sai, mi disse, nel disco nuovo c'è una canzone che si chiama Pietro. Gli avevamo messo un altro nome, ma poi l'ho cambiato pensando a te... E se ne andò".
Pietro è fiero di vivere a Novellara, fiero del suo bel paese che pian piano sta cambiando pelle. Ti racconta della macelleria araba, del supermercato indiano, della moschea e del tempio indiano che hanno aperto da poco, "perché questa, per una serie di felici coincidenze, è diventata un'oasi musicale felice". Tanti anni fa Francesco Guccini aveva scritto una canzone. Si chiamava "Fra la via Emilia e il West", e raccontava proprio di questa pianura infinita e della musica che sembra scorrerle dentro le vene. Forse è per questo che la tomba di Augusto non è mai sola.


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